martedì 7 settembre 2010

L'Estate sta finendo.....il post vacation blues


Sono finite le vacanze!
La maggior parte delle persone, ormai ritornata dalle località di mare o montagna, si ritrova a fare i conti con la vita quotidiana, con ciò che aveva lasciato in città prima di partire delle vacanze.
Tuttavia invece di sentirsi carichi, pieni di forze e pronti per affrontare il nuovo anno ed il lungo inverno che ci attende, ci si sente stanchi, apatici ed annoiati.
Niente di cui preoccuparsi: siamo di fronte al “Post vacation blues”, ovvero alla cosidetta sindrome dello “Stress da rientro”.

Secondo recenti dati Istat ben 1 italiano su 10 soffre della suddetta sindrome; quindi ben il 10% degli italiani presenta sintomi da stress dovuti al cambiamento del ritmo di vita quotidiana
Ma come riconoscere lo stress da rientro?
I sintomi tipici sono:
ü Nervosismo, irritabilità ed agitazione
ü Affaticamento e stanchezza
ü Mal di testa
ü Preoccupazione
ü Sonno disturbato e problemi di alimentazione
ü Ipersudorazione e tachicardia
La suddetta sindrome conduce ad un globale stato di malessere che può sfociare anche in tosse, insonnia,, giramenti di testa, dolori muscolari e nei casi più gravi, appunto in stati depressivi (come suggerisce il termine inglese “blues”)

Lo sindrome da “Stress da rientro” è dovuta, come dice il termine stesso, al cambiamento repentino delle abitudini, al brusco passaggio da uno stile di vita rilassato privo di particolari obblighi ed attività da adempiere ad uno, al contrario, frenetico e colmo di responsabilità ed attività, tipico dei contesti lavorativi.

Lo stress, difatti, è descrivibile come la risposta biologica dell’organismo alle situazioni di cambiamento repentino. Esso di esplica solitamente in tre fasi: un iniziale stato di allarme; una successivo momento di adattamento in cui ci cerca di ritrovare il “giusto” equilibrio; infine una fase di esaurimento nel momento in cui il soggetto non è appunto riuscito adeguatamente ad adattarsi alla nuova situazione.

Come prevenire l’insorgere dello Stress da rientro?

Al fine di prevenire la precitata sindrome sarebbe auspicabile assumere “alcune precauzioni”.
In primo luogo bisognerebbe “prepararsi mentalmente” al rientro e cercare di tornare a casa dalle vacanze qualche giorno prima di iniziare a lavorare, di modo da dare all’organismo la possibilità di riadattarsi al “clima” cittadino ed alle varie attività quotidianamente svolte nella maniera più graduale possibile. Quindi: Addolcire l’impatto del rientro dalle vacanze!

In secondo luogo sarebbe utile avere una sana alimentazione, fatta maggiormente di frutta e verdura. Soprattutto sarebbe vantaggioso consumare alimenti contenenti zuccheri semplici, come uva, perche, mele, zucchine; questi difatti consentono all’organismo di produrre una maggio quantità di serotonina, ovvero di quel neuro mediatore che stimola appunto il rilassamento e quindi il benessere. Quindi: mangiare sano!

In terzo luogo, una volta rientrati al lavoro, bisognerebbe tentare di non sovraccaricarsi di mansioni e di compiti tentando di concedersi un po’ di tempo per riappropriarsi della propria efficienza psico - fisica. Quindi: riprendere con “calma” la propria vita lavorativa.

In ultima istanza sarebbe opportuno concentrarsi su pensieri positivi e riprendersi gradatamente i propri tempi. Quindi: concedersi il proprio tempo ed il proprio spazio.

Dott.ssa Claudia Distefano

mercoledì 1 settembre 2010

Rieccoci qui!

Le vacanze sono giunte al termine.

Ed ora l'Associazione Oltreparola è nuovamente operativa!!!

Augurandoci che anche il Vostro sia stato un buon rientro vi invitiamo a seguirci nelle nostre future attività!

martedì 3 agosto 2010


Buone Vacanze a Tutti!!!

lunedì 24 maggio 2010

Nuove tecnologie per nuovi tradimenti


Attualmente si rileva un nuovo fenomeno: di fronte ad incomprensioni, disagi e conflittualità fra partner, la tentazione è di “fuggire” nella vita virtuale.

Perché tentare di comprendere e di essere compresi, con tutte le difficoltà del caso, nel rapporto di coppia, quando c'è qualcuno, nella chat, con cui possiamo farlo senza difficoltà?

Ciò che nasce come amicizia virtuale, se sopraggiunge all'interno di un disagio di coppia, può diventare amore virtuale.

Con la persona dell'altro sesso conosciuta in chat, si arriva a condividere, spesso, parti di se stessi, non partecipate neanche col partner.

L'intimità amicale diventa sempre più affettiva e si arriva a “sostituire” affettivamente e quindi a tradire il proprio partner.

Quando possiamo parlare di tradimento?

Escludiamo, ovviamente, il tradimento reale che si ha nel momento in cui la conoscenza dell'altro da virtuale diventa reale.

Ritengo che si possa parlare di un tradimento online quando il livello di “condivisione” virtuale coll'altro supera un determinato limite.

Limite fra condivisione amicale e quella di coppia che non è uguale per tutti, ma muta a secondo delle persone e situazioni coinvolte.

Limite che, teoricamente, potremmo porre nel momento in cui il noi” della coppia virtuale diventa preponderante rispetto alle singole individualità, che per quanto affini fra loro, intime, devono riuscire a mantenere una certa distanza affettiva.

Invece le entità dell'Io, del Tu e del Noi, sempre in bilico nella vita reale fra individualismi esasperati e fusioni totalizzanti, sul virtuale innescano una deriva fusionale, favorita dal gioco delle proiezioni reciproche sull'altro che è tipico delle relazioni online.

Nel momento in cui, nella relazione virtuale, il noi prende il sopravvento, la relazione da confidenziale, empatica, diventa passionale, nel senso che la presenza dell'altro in chat è attesa come s'attende una persona innamorata, quando la mancanza dell'altro, sempre in chat, diventa angoscia abbandonica, ecco che all'orizzonte si è profilato il tradimento.

lunedì 17 maggio 2010

La dipendenza affettiva.

La dipendenza non è generata solo ed unicamente da sostanza, ma anche da relazioni che l’individuo instaura con il suo ambiente circostante. Essa indica generalmente un legame di sottomissione tra un individuo ed un’altra persona, un gruppo, un oggetto, un comportamento,…

Da un punto di vista psicologico, il soggetto “dipendente” è caratterizzato da una mancanza di autonomia e di capacità di prendere decisioni autonome, spesso ha una visione di sé come bisognoso, fragile, come “vittima”. La dipendenza che tali soggetti instaurano nei confronti di oggetti o persone è strettamente legata al loro bisogno di non sentirsi inadeguati e di sperimentare una immagine di sé positiva.

In molti casi si parla di dipendenza affettiva, ma cosa è?

Nella dipendenza affettiva il soggetto è, come dice il termine stesso, dipendente da una relazione emotivo – affettiva instaurata con un'altra persona. Essa indica un legame di sottomissione che l’individuo stabilisce con l’altro, dove è proprio la “relazione” a divenire l’oggetto della dipendenza stessa.

Da dove nasce la dipendenza affettiva?

L’origine di tale dipendenza è da ricercare nel contesto delle prime relazioni con le figure significative. Anche se può apparire paradossale si instaura una dipendenza perché si ha bisogno di amore! Sin dalla prima infanzia il bambino è dipendente dalle proprie figure di accudimento, sia per i propri bisogni primari di fame, sete, freddo sia per i propri bisogni emotivi. Se il rapporto tra il soggetto in età infantile e l’adulto sarà caratterizzato da accettazione, rispetto e cure responsive ed empatiche il bambino crescerà autonomo, indipendente, sicuro di sé e fiducioso nelle proprie capacità e negli altri; contrariamente si svilupperà insicuro e bisognoso di continue conferme.

Nella dipendenza affettiva, pena la perdita della propria identità, il soggetto persegue costantemente ed in modo ossessivo la rassicurazione, l’attenzione e l’amore.

La relazione con l’altro, con il proprio partner, apparentemente risulta essere una relazione d’amore; tuttavia è descrivibile come una relazione di “bisogno”. Il soggetto affettivamente dipendente vive una relazione intrisa di angoscia, paura ed insicurezza in quanto è troppo concentrato a “chiedere” amore, cure ed attenzioni. Ci si trova di fronte ad una relazionale fusionale.

Chi è succube di tale tipologia di dipendenza spesso è una persona insicura, con scarsa autostima, paura dell’abbandono ed ansia da separazione. Il soggetto instaura una relazione proprio per colmare le proprie paure ed i propri bisogni.

Il soggetto con dipendenza affettiva è caratterizzato da:

ü Paura di perdere l’amore

ü Paura della solitudine, della soluti dine e dell’abbandono

ü Paura di mostrrsi per quello che si è e di non essere accettato in quanto tale

ü Senso di inferiorità nei confronti del partenr, il quale è visto come “eroe” e “salvatore”

ü Senso di colpa

ü Gelosia

ü Risentimento e possessività

In maniera maggiormente specifica tra i pensieri ed i vissuti emotivi ricorrenti possiamo riscontrare:

ü tendenza a sottovalutare la fatica connessa a ciò che serve ad aiutare la persona amata al punto da raggiungere, senza percepirlo in tempo, livelli elevati di stress psicofisico;

ü terrore dell’abbandono che porta a fare cose anche precedentemente impensabili pur di evitare la fine della relazione;

ü tendenza ad assumersi abitualmente la responsabilità e le colpe della vita di coppia;

ü autostima estremamente bassa e una conseguente convinzione profonda di non meritare la felicità;

ü tendenza a nutrirsi di fantasie legate a come potrebbe essere il proprio rapporto di coppia se il partner cambiasse, piuttosto che a basarsi su pensieri legati al rapporto attuale e reale;

ü propensione a provare attrazione verso persone con problemi e contemporaneo disinteresse e apatia verso persone gentili, equilibrate, degne di fiducia, che invece suscitano noia.

Giddens studiando la dipendenza affettiva individuò alcune caratteristiche specifiche di questa dipendenza, vale a dire:

ü l’ebbrezza : il soggetto affettivamente dipendente prova una sensazione di ebbrezza dalla relazione con il partner, in maniera maggiormente specifica sperimenta euforia in funzione delle reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti.

ü la dose: il soggetto affettivamente cerca “dosi” sempre maggiori di presenza e di tempo da spendere insieme al partner, la sua mancanza lo getta in uno stato di prostrazione. Il soggetto esiste solo quando c’è l’altro e non basta il suo pensiero a rassicurarlo, ha bisogno di manifestazioni continue e tangibili. L’altro rappresenta un’evasione, una fonte di gratificazione unica, tanto che si arriva anche a trascurare le normali attività quotidiane, come per esempio le attività lavorative e relazionali.

ü la perdita dell’Io: nella dipendenza affettiva esiste un alto rischio di perdita del Sé, della propria capacità critica e quindi, anche della critica dell’altro, vissuto come irrinunciabile nutrimento. Il senso di perdita di identità è seguito da sentimenti di vergogna e di rimorso. In alcuni momenti infatti, si percepisce qualcosa di distorto nella relazione con l’altro, che la dipendenza è nociva e che se ne vorrebbe fare a meno, ma la constatazione di essere intrappolati in un modello dipendente fa sentire indegni e quindi spinge ancora di più verso l’abbraccio dell’altro. La dipendenza è percepita come un’esperienza speciale e lo è nel senso che niente altro è altrettanto soddisfacente.

Il soggetto con dipendenza affettiva ama in maniera ossessiva e parassitaria, chiedendo al partner una assoluta attenzione e devozione. L’amore dipendente è caratterizzato dalla stagnazione, si ripiega su stesso e si chiude a tutte le influenze ed esperienze esterne.

La letteratura scientifica ha rilevato che la dipendenza affettiva è presente soprattutto nella popolazione femminile.

Dott.ssa Claudia Distefano

mercoledì 12 maggio 2010

Le nuove dipendenze

Il settore delle dipendenze patologiche appare oggi molto più variegato ed eterogeneo, includendo al suo interno non solo ed unicamente specifiche sostanze, ma anche fenomeno quali l’internet addiction, la dipendenza affettiva, lo shopping compulsivo.

All’interno di tale vasto panorama, risulta essenziale innanzitutto soffermarsi sul concetto di dipendenza patologica; essa necessita di un punto di vista multidimensionale che tenga contemporaneamente conto sia degli aspetti neurobiologici sia dei fattori comportamentali, sociale, psicologici e culturali.

Approcciandosi al fenomeno delle dipendenze appare evidente come esso non sia circoscritto solo ed unicamente ai cosi detti “Disturbi correlati a sostanza” siano essi correlati all’uso di sostanza o indotti da sostanze quali anfetamine, oppiacei, cannabis, cocaina,…

Attualmente la ricerca ed il dibattito scientifico si sono concentrati sulle “Nuove Dipendenze”, ovvero: la dipendenza da internet, da cellulare, dal sesso, dal lavoro, dallo shopping compulsivo, dal gioco d’azzardo, la dipendenza affettiva,…

Nei succitati casi non si tratta di uso e/o abuso di sostanza, come solitamente si può riscontrare nelle tossicomanie o tossicofilie, ma di comportamenti e relazioni problematiche, inadeguate e disfunzionali riferite ad oggetti, attività, gestione del proprio tempo e rapporto con la realtà interna, per ciò che concerne la percezione di sé, ed esterna, per ciò che riguarda le relazioni interpersonali, sociali e di coppia.

La dipendenza patologica si configura come una forma morbosa determinata dall’uso distorto di una sostanza, di un oggetto o di un comportamento, un’esperienza caratterizzata da un sentimento di incoercibilità e dal bisogno coatto di essere ripetuta con modalità compulsive.

Essa è una condizione invasiva in cui si possono riscontrare fenomeni quali il carving, l’assuefazione, l’astinenza in relazione ad una abitudine incontrollabile ed irrefrenabile che il soggetto non può allontanare da sé.

Queste nuove forme di dipendenza possono essere inglobate all’interno delle dipendenze comportamentali. Esse, attraverso la ricerca continua ed irrefrenabile di determinati comportamenti (quali internet, il sesso, lo shopping, o altro…) interferiscono nella vita quotidiano del soggetto a molteplici livelli.

A livello economico possono condurre ad una riduzione del patrimonio dovuta alle spese condotte dal soggetto finalizzate alla ricerca del comportamento desiderato; nei casi più gravi inoltre la dipendenza può andare ad interferire con l’efficacia ed il rendimento lavorativo e può essere quindi causa di licenziamento lavorativo. Psicologicamente è necessario sottolineare come oltre a ripercussioni cognitive quali problemi di attenzione e concentrazione, distorsioni della realtà e della capacità di pensiero, la dipendenza può causare problemi di natura emotiva, quali: depressione, senso di colpa, riduzione e perdita dell’autostima con conseguente isolamento sociale. L’isolamento sociale, difatti, rappresenta una conseguenza problematica molto importante: il soggetto tende difatti ad isolarsi dalla amici, parenti, colleghe non essendo più capace di relazionarsi con loro.

Il campo delle nuove dipendenze patologiche richiede una nuova attenzione e sensibilità in quanto risulta essere un fenomeno connotato dalla trasversalità e dalla grande pericolosità. Possono, difatti, esserne vittime preadolescenti, giovani, adulti, anziani, uomini e donne di diversa estrazione.

Dott.ssa Claudia Distefano

lunedì 10 maggio 2010

La ricerca del brivido al volante!

La psicologia del traffico è quel particolare settore della psicologia applicata che focalizza la sua attenzione sui partecipanti del sistema traffico, attraversando innumerevoli ambiti di studio da quello della percezione sino a quello della personalità.

Ma chi è “lo psicologo del traffico” e cosa fa???

Sicuramente nel panorama italiano è una figura emergente, la quale, purtroppo, ancora non ho ottenuto un giusto riscontro.

L’indagine Istat ha rilevato in Italia, per l’anno 2008 ben 218.963 incidenti di cui 4364 mortali. Sono dati allarmanti che portano ad una riflessione. Cosa determina ed influenza la sicurezza alla guida?

Il tema di “sicurezza alla guida” nel panorama italiano non è ancora sufficientemente affrontato in un’ottica psicologica, ma il più delle volte in chiave normativa e quindi con un ottica punitiva. Diviene necessario approcciarsi a tale tematica in un ottica più prettamente psicologica al fine di comprendere quali siano i fattori che influenzino il comportamento del guidatore e cosa lo spinga a mettere in atto condotte pericolose.

Sarebbe utile approfondire come fattori, quali: la stanchezza, l’uso di alcool e/o sostanza psicotrope, ma anche caratteristiche di personalità ed influenze, competenze e fattori sociali, possano interferire con la guida sicura. Cosa porta il guidatore a perdere il controllo fisicamente, cognitivamente ed emotivamente?

La psicologia del traffico, rispondendo primariamente a tale quesito, si pone come finalità quella di occuparsi della sicurezza stradale contrastando il fenomeno delle morti sulla strada e cercando di prevenire gli incidenti attraverso una “educazione stradale” che non sia solo ed unicamente didattica ed a carattere punitivo, ma al contrario cercando di sensibilizzare sul valore delle sicurezza e su come in esso possano intervenire numerosi variabili, prima tra tutte il cosi detto “Sensation Seeking”.

Il Sensation Seeking è ricondubile alla ricerca del rischio. Assumere il rischio, ovvero l’azione del Risk taking, significa indirizzarsi verso situazioni dall’esito incerto. Nel contesto particolare della guida e della psicologia viaria il concetto di Assumere il Rischio di collega strettamente alla “scelta di intraprendere volontariamente comportamenti potenzialmente dannosi e pericolosi”.

Il Sensation Seeking fu individuato da Zuckerman come un tratto di personalità definito dalla ricerca di sensazioni ed esperienze intense e dalla tendenza ad assumersi rischi per il puro piacere di queste esperienze. Esso conta al suo interno di quattro dimensioni specifiche: ricerca del brivido e dell’avventura, ricerca dell’esperienza, disinibizione e suscettibilità alla noia.

Numerose ricerche in ambito psicosociale hanno ben documentato come sia possibile riscontrare una relazione tra un alto tratto di Sensation Seeking e la guida pericolosa, l’alta impulsività e l’uso di droghe ed alcool prima di mettersi al volante.

Emerge quindi come alcuni fattori di personalità sembrino essere predittivi di future condotte a rischio quando si è alla guida. Ciò che porta il soggetto a violare le norme del codice della strada, all’alta velocità o all’assunzione di bevande alcoliche prima di mettersi alla guida è riconducibile ad un insieme di elementi quali: forte impulsività, aggressività, instabilità emotiva, ricerca di sensazioni forti ed inadeguata percezione del rischio.

Ed è proprio in tale ottica che diviene necessario attuare una prevenzione psicologica al fine di promuovere una guida sicura.

Dott.ssa Claudia Distefano

mercoledì 28 aprile 2010

Il tradimento: è la fine della coppia?

Tradimento: fine o nuovo inizio?
Molto spesso il tradimento conduce alla rottura della coppia; ma a volte esso, paradossalmente, rappresenta il punto dal quale partire per poter ricostruire un legame.
Esso è interpretabile quindi come una “divergenza per la convergenza”, ovvero una opportunità per recuperare un dialogo interrotto e ritrovare la propria capacità di relazionarsi e di amare. In tal caso si passa necessariamente non solo attraverso la fase dell’accettazione ma anche e soprattutto attraverso quella del perdono.
Scegliendo l’accettazione, non scusiamo la persona che ha sbagliato, soprattutto quando quest’ultima sembra non mostrare alcuna volontà di riparazione: piuttosto cerchiamo di capire meglio le circostanze dell’accaduto. Grazie a questa comprensione, e senza negare il dolore provato, possiamo ristabilire la nostra libertà e pace interiore, sensazioni che derivano dall’essere stati in grado di reagire con cuore aperto ad una perdita. Ciò aumenta la nostra sicurezza e il senso di potere personale, in un mondo pieno di rischi. E’ chiaro che accettando, e non perdonando, la natura del rapporto può cambiare per sempre. Certamente, è più facile accettare di aver subito un torto da qualcuno che non si frequenta ogni giorno, come un amico o un familiare che si è comportato male.
Il perdono, invece, è processo interpersonale molto più complicato, che richiede un grande sforzo da parte di chi ha tradito. Ed è la strada migliore per tutte le coppie che, lacerate dalla scoperta di una relazione clandestina, desiderano recuperare il loro rapporto. Il partner infedele deve però assumersi la responsabilità del suo comportamento, deve riuscire a capire il profondo dolore dell’altro e dimostrare di voler riparare tramite azioni degne di fiducia. Questo può richiedere tempo ed energie. Per molte persone perdonare o farsi perdonare è davvero troppo faticoso. Alcune coppie invece hanno superato i loro problemi e sono tornate stare bene insieme, con pienezza e soddisfazione. Ci vuole coraggio, pazienza, perseveranza e, spesso, anche l’aiuto di un terapeuta che contribuisca a facilitare il tutto il processo.

Parte del contenuto è tratto dal seguente link:   http://www.michelarosati.it/tradimento-e-perdono.html
Sito della dott.ssa Michele Rosati - Psicologa Psicoterapeuta.
Sito che consiglio di visitare.

Dott.ssa Claudia Distefano

Fedeltà & tradimento

Fedeltà è tradimento rappresentano due facce della stessa medaglia che chiamiamo come “patto d’amore”.

La fedeltà rappresenta il punto cardinale di tale patto. Essa può essere intesa come fedeltà passiva, ovvero una rigidità morale, una fedeltà al corpo dell’altro; ed una fedeltà attiva, corrispondente alla fedeltà alla persona, ovvero la decisione di con tradire l’altro per una scelta di valore e non per “paura di una ipotetica punizione”.

Il tradimento invece rappresenta la rottura del patto d’amore. E’ un azione che muta necessariamente l’andamento ed i rapporti precedentemente esistenti tra le persone, delude la fiducia e le aspettative infrangendo quindi il legame.

Potremmo dire che il tradimento infrange la quotidianità in quanto porta poi la coppia a separare ciò che è avvenuto prima e ciò che è avvenuto dopo tale evento.

Psicologicamente nel tradimento siamo di fronte all’infrangersi della fiducia primaria, che porta a distinguere nettamente l’Altro da sé.


Nello specifico, esistono tre fasi nel tradimento:

- quella in cui viene fantasticato

- quella in cui viene agito

- quella in cui viene scoperto.


In seguito alla sua scoperta, in genere, i sentimenti, si presentano nel seguente ordine:

- la rabbia che, a volte, può determinare la rottura definitiva della relazione;

- il desiderio di vendetta, che, tuttavia, non permette di elaborare quanto accaduto;

- la perdita dell’autostima, accompagnata al sentirsi svalutati, sminuiti, al senso di perdita della fiducia nei confronti dell’altro e della parte di sé stessi che gli era stata affidata.


Contro il tradimento solitamente il tradito mette in atto delle difese. Tra queste: la negazione, il tradito definisce il partner fedifrago come una persona negativa, cattiva e inaffidabile cancellando ogni possibile visione positiva di lui; il cinismo, ovvero il tradito mostra diffidenza e disprezzo verso tutti e tutto abolendo cos’ ogni sentimento positivo; il potere paranoico, ovvero il tradito cerca di proteggersi da futuri pericoli controllando il traditore con la diffidenza e con il ricatto, chiedendo prove di devozione e di lealtà, andando incontro ad una distruzione della relazione di amore che diventerà invece solo ed esclusivamente una relazione di potere dove chi è stato tradito non smette di aggredire e chi ha tradito non smette di rassicurare.

Tutto ciò caratterizza l’esperienza del tradimento con aspetti destabilizzanti, di vulnerabilità, dipendenza ed auto svalutazione per chi lo subisce.

Dott.ssa Claudia Distefano

L' Autostima

Il benessere mentale, emotivo e fisico è strettamente correlato alla nostra autostima!

Ma che cosa è l’autostima?

E come possiamo fare per “stare bene con noi stessi?”

Per rispondere alla prima domanda “Cosa è l’autostima” è necessario fare un piccolo passo indietro e comprendere in che scenario essa si colloca. Tale scenario è quello del “concetto di sé”, ovvero in parole semplici il “mondo” o l’Immagine interna” che ciascuno ha di se stesso. Tale immagine si sviluppa sin a partire dalla primissima infanzia anche in relazione al modo in cui gli altri si rapportano a noi; in maniera maggiormente specifica in relazione alle reazioni degli altri ai nostri comportamenti.

L’autostima viene a determinarsi in base a varie informazioni oggettive e soggettive ricondubili a tre tipologie di sé:

  1. Il sé reale, ovvero la valutazione oggettiva delle nostre abilità, competenze e caratteristiche.
  2. Il sé percepito, consistente appunto nella immagine che possediamo nel nostro sé reale, di noi stessi; ovvero in una visione soggettiva di quelle abilità, caratteristiche e qualità che sono in noi presenti ed assenti.
  3. Il sé ideale, invece, è descrivibile come ciò che vorremmo o pensiamo di dover essere. Esso è influenzato dalla cultura e dalla società.

L’autostima quindi rappresenta una valutazione, una “stima di sé”, circa le informazioni contenuto nel concetto di sé. Essa è la reazione emotiva che sperimentiamo quando osserviamo e valutiamo aspetti di noi stessi, collegati alle nostre credenze personali inerenti le abilità e capacità, i nostri rapporti sociali,…

Tale opinione che abbiamo di noi stessi, che sviluppiamo sin dall’infanzia, tuttavia non si può descrivere in maniera unidimensionale. L’autostima, al contrario, è un concetto multidimensionale e non unitario. Essa racchiude in sé una molteplicità di aspetti, per esempio:

Ø quello sociale, inerente il come mi sento quando sono con gli altri, mi sento apprezzato o meno?

Ø Quello scolastico – lavorativo, relativo al quanto mi sento competente ed adeguato nello svolgere determinati compiti

Ø Quello familiare, inerente il come mi percepisco, i miei vissuti all’interno del ccontesto familiare.

Ø Quello corporeo, ovvero il giudizio su come mi percepisco fisicamente

È utile sottolineare che il livello di autostima, sia esso positivo o negativo, influisce la nostra autoefficacia, ovvero la “convinzione nelle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessario a gestire adeguatamente le situazioni che incontreremo in modo da raggiungere i risultati prefissati” (Bandura, 1986) e quindi la fiducia che una persona ripone nella propria capacità di affrontare un compito specifico.

Una buona e sana autostima rappresenta un utile fattore di adattamento socio-emozionale, essa è alla base di un “buon funzionamento mentale” e conseguente di un successo nella vita del soggetto.

Spesso si incorre in problemi riguardanti l’autostima dovuti ad una discrepanza tra i vari sé, una differenza tra il sé percepito ed il sé ideale; quando infatti tale divario è molto alto ci si trova di fronte ad una autostima molto bassa. Tuttavia molto spesso si incorre in un calo della propria autostima a causa di turbamenti emotivi riconducibili ad ansia, rabbia, senso di colpa, sofferenza e solitudine.

Altrettando spesso il calo della nostra autostima è dovuto all aver esperito dei fallimenti in ambito sociale, lavorativo e/o scolastico, familiare,…

Nei precitati esempi si può far ricorso ad alcune strategie per migliorare e tutelare la propria autostima:

  1. Assegnare selettivamente importanza a quegli obbiettivi che potenzialmente possiamo raggiungere.
  2. Ridimensionare l'importanza degli insuccessi
  3. Non essere troppo rigidi con se stessi in termini di autovalutazione.

Dott.ssa Claudia Distefano

mercoledì 21 aprile 2010

Amore é...


Che cosa è l'amore?

Quando si è innamorati come ci si sente e cosa si pensa?

Scrittori, filosofi, pensatori, artisti, pittori, scultori si sono interessati da sempre dell'amore cercando di descriverlo.

Ognuno a modo proprio, passando dalla demonizzazione di questo sentimento che fa "perder la ragione" fino a giungere invece alla sua sublimazione come "essenza della vita".


Sicuramente definire l'Amore non un compito semplice.

Quando parliamo di amore, da un punto di vista psicologico, lo possiamo intendere al pari di "Un sistema integrato o un processo biopsicosociale, vale a dire un'entità dinamica, in movimento e che evolve, che coinvolge l'uomo nella sua globalità biologica, psicologica e sociale e serve a promuovere la vicinanza tra due individui allo scopo di favorire la riproduzione della specie, ma anche il senso di sicurezza, la gioia ed il benessere, attraverso l'attenuazioni delle sensazioni spiacevoli provocate dall'ansia e dallo stress".

Lungi dal voler essere esaustivi e dal voler etichettare un sentimento caratterizzato dalla complessità ma anche e soprattutto dalla soggettività di chi lo vive, la definizione su riportata ci consente di riflettere su alcune questioni.

In primo luogo l'amore è identificabile al pari di un processo biopsicosociale; quindi in esso possiamo trovare un triplice livello: biologico, psicologico e sociale.

In secondo luogo, la finalità riportata nella precedente definizione, evidenzia come esso sia strettamente collegato a vissuti di sicurezza, gioia e benessere.

Dopottutto tra le possibili motivazioni che ci spingono a trovare un/una partner stabile, il nostro oggetto d'amore, sicuramente quella più importante, riconducibile all'Amore, è riscontrabile all'atavico bisogno di sicurezza che accompagna l'essere umano fino alla morte e che trova le sue radici nella vita fetale e nei primi anni di vita proprio nel rapporto con la madre e le figure significative dell'infanzia. Pertantanto, a colui/colei che scegliamo come nostro oggetto d'amore "affidiamo" il compito di riprodurre l'iniziale condizione di benessere sperimentata con le figure significative dell'infanzia.

Psiche & Soma




Si può realmente pensare a corpo e mente come entità separate?

Per rispondere a questa domanda bisognerebbe partire da un assunto fondamentale: ci si può approcciare all'essere umano solo ed esclusivamente tenendo conto di una ottica biopsichica.

Al fine di comprendere meglio tale affermazione sarebbe utile citare una frase contenuta nella più recenti edizioni del DSM, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali utilizzato a livello internazionale, "C'è molto di fisico nei disturbi mentali e molto di mentale nei disturbi fisici". Vi è quindi un forte nesso tra fattori psichici e fattori biologici.

Pensiamo magari in quante numerose occasioni, malattie fisiche si ripercuotono poi anche a livello psicologico nella vita di tutti i giorni. Viceversa la ricerca scientifica ha cercato di dimostrare come siano altresì riscontrabili delle correlazioni tra malesseri psicologici e malattie somatiche. Spesso, infatti, stress, ansia e depressione possono condurre a malattie di interesse prettamente medico come disturbi gastrointestinali o cardiovascolari.

Sebbene la psicosomatica nasca più di due secoli fa, forse solo attualmente sta riscontrando un "maggiore successo".

Nodo centrale di tale disciplina è il sottolineare come dei malesseri di natura psichica possano poi emergere anche attraverso dei malesseri di natura fisica.

Risulta doveroso guardare la "psicosomatica" da un duplice punto di vista. In primo luogo, osservando il suo oggetto di studio. Esso è molteplice. Ingloba al suo interno non solo le così dette "psicosomatosi", ovvero tutte quelle patologie di interesse medico per le quali il fattore psicologico diviene una causa rilevante; ma anche i così detti "disturbi somatoformi", dove il conflitto psichico viene spostato ed agito sul corpo, appunto sul soma, assumendo svariate forme, quali per esempio il disturbo di somatizzazione.

Soggetti affetti dal succitato disturbo presentano una storia di molteplici problemi fisici iniziata prima dei 30 anni e di durata di almeno due anni nei quali si sono sottoposti a numerosi accertamenti medicii che hanno creato un disagio clinicamente significativo e una menomazione del funzionamento sociale e lavorativo. I sintomi dolorosi possono essere inerenti a diverse aree corporee, da quella gastrointestinale a quella sessuale a quella neurologica. Tuttavia i precitati sintomi, dopo accurati esami medici, non sono spiegabili con nessuna condizione medica pur non essendo prodotti intenzionalemente o simulati dai pazienti stessi.

Un secondo punto di vista conil quale approcciarsi alla psicosomatica è rappresentato da quella particolare sensibilità della disciplina nei confronti della dimensione relazionale nella diade paziente - medico. Di qui discendono la particolare attenzione rivolta al soggetto malato, non solo come paziente ma anche e soprattutto come persona; alle caratteristiche psicologiche e relazionali presenti nell'intervento di cura; alle aspettative ed a tutta la "morale" correlata alla figura del medico.

in conclusione è possibile affermare che la psicosomatica attualmente abbia riscontrato un maggiore successo all'interno del panorama scientifico proprio in virtù della sua visione dell'essere umano come entità biopsicosociale ed all'importanza attribuita alla multifattorialità per la genesi di ogni fenomeno patologico.

L'essere umano è, quindi, inserito all'interno di un contesto biologico, psicologico e sociale nel quale ogni patologia è dovuta ad una complessità di fattori.

In tale panorama è facile comprendere come mente e corpo non siano entità separate, al contrario tra esse è possibile riscontrare una continua reciproca relazione.

sabato 3 aprile 2010



mercoledì 17 marzo 2010




Cosa sono le emozioni?



Filosofi e pensatori si sono da sempre interessati allo studio delle emozioni, in quanto esse raffigurano un asse essenziale della rappresentazione della vita morale.

Contributi derivanti da filosofi possono essere, per esempio quello di Aristotele, il quale in "De anima e de essentia" già forniva degli apporti di notevole modernità.



Oppure in epoca molto più recente, si annoverano i contributi di Darwin, il quale scrisse un libro tutt'oggi ancora fondamentale: "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali" in cui: in primo luogo si mostra la continuità delle emozioni tra il mondo animale ed il mondo umano; in secondo luogo, si avvia uno studio scientifico delle emozioni che si avvale di una metodologia innovativa, ovvero l'osservazione oggettiva del comportamento.


Alla fine dell'ottocento, precisamente nel 1884, James scrive il suo saggio "Che cosa è un'emozione" e rovescia la precedente tradizione che guardava alle emozioni come a meri stati di coscienza, affermando che esse erano piuttosto la percezione dell'attivazione corporea innescata da stimoli ambientali a carattere emotivo.


Dai contributi di James gli studi sulle emozioni si sono evoluti, succeduti ed in seguito diversificati in varie teorie.

Sebbene sia difficile trovare una definizione unica ed esaustiva per definire le emozioni, esse rappresentano dei processi affettivi caratterizzati da sensazioni di piacere - dispiacere con risposte di avvicinamento - allontanemento e con una valutazione positiva - negativa dell'evento.

Consistono in reazioni intense e di breve durata, determinate da stimoli ambientali e/o stimoli intrapsichici, che causano un'attivazione fisiologica.
Le emozioni, inoltre, hanno molteplici funzioni: determinano rapidamente cambiamenti fisiologici necessari per sostenere risposte adattive dell'organismo; permettono di comunicare i propri piani e le proprie intenzioni attraverso l'espressione; consentono la modificazione dell'attività cognitiva con il conseguente riorientamento della condotta in base a nuove priorità.


Il compito principale delle emozioni è quello di essere una "potente interfaccia" tra l'individuo e l'ambiente" in grado di mediare fra le situazioni costantemente mutevoli e le risposte comportamentali dell'individuo. Esse svolgono una funzione di scansione e valutazione degli eventi ambientali, al fine di deciderne la rilevanza ed i possibili effetti per gli scopi e gli interessi dell'individuo e per predisporlo a reagire a tali eventi in modo adattivo.


Nelle emozioni si possono altresì riscontrare diverse componenti: una componente cognitiva, concernente l'elaborazione del significato emotivo dello stimolo; una componente neurofisiologica riguardante l'attivazione del sistema nervoso centrale e del sistema nervoso autonomo; una componente motivazionale attinente ai bisogni ed agli scopi legati all'emozione; una componente motoria riscontrabile nella funzione espressiva e strumentale ed infine una componente soggettiva inerente il vissuto cosciente ed il monitoraggio consapevole dell'esperienza emotiva.


I processi emotivi, infatti, comprendono aspetti valutativi legati alla natura dello stimolo ed allo stato dell'organismo, ma anche aspetti espressivi, comunicativi, strumentali ed attivazionali.

sabato 13 marzo 2010

Cyberbullismo




Negli ultimi anni si assiste alla diffusione e moltiplicazione dei mezzi di comunicazione.
Ai primi posti troviamo sicuramente cellulari ed internet.


Entrambi oramai accessibilissimi anche in tenera età, a volte a partire sin dalle scuole elementari e medie, ed il più delle volte consegnati ai figli senza un reale controllo.

All'interno di questo panorama si è ultimamente insinuato un nuovo fenomeno dalla connotazione al contempo scolastica e sociale - relazione: il Cyberbullismo.

La duplice connotazione è spiegabile proprio attraverso le modalità di esecuzione. Molto spesso, infatti, le azioni prevaricanti che iniziano negli ambienti virtuali su vittime conosciute in contesto scolastico, si estendono poi proprio nelle relazioni interpersonali faccia a faccia attraverso un escalation comportamentale che può passare dalle offese, ingiurie effettuate via chat alle vere e proprie minacce e violenze fisiche.

Il Cyberbullismo consiste, infatti, in azioni aggressive messe in atto attravero strumenti informatici e/o ambienti virtuali. Esempi di condotte di cyberbullismo possono essere mandare emali, sms sgraditi, offensivi, di minaccia o addirittura creare siti diffamatori o pagine di social network (primo fra tutti facebook) della vittima.

Soprattutto in età adolescenziale essere vittima di cyberbullismo può rivelarsi ultremodo dannoso per una duplice serie di motivi. In primo luogo perchè il soggetto è immerso nel percorso di formazione di una propria identità autonoma...è alla ricerca del proprio sè.

In secondo luogo perchè proprio nel periodo adolescenziale le relazioni instaurate tramite la rete, la chat, i social network, internet sono vissute con un forte coinvolgimento emotivo e carattere realistico, spesso molto simile a quello delle relazioni faccia a faccia.

L'esperienza online del ragazzo/a vittima di cyberbullismo può quindi portare con sè profonde ripercussioni sulla sua vita sociale, relazionale e sullo sviluppo della sua identità.

Corpo & Comunicazione

Cosa comunichiamo?



Come comunichiamo?




Come il nostro corpo parla di noi?


E' proprio attraverso il nostro corpo che agiamo nella realtà circostante e che interagiamo con gli altri.
Il nostro corpo rappresenta, quindi, il mezzo di comunicazione più immediato a nostra disposizione.
Esso parla di noi e ci consente di comunicare con gli altri.
Cosa intendiamo con il termine comunicare?
La comunicazione non risulta essere un facile argomento di discussione, sicuramente alla domanda cosa significa comunicare, molti risponderebbere "Parlare". Tuttavia dietro al semplice "Parlare" si possono trovare altre numerose sfaccettature che vanno dal semplice trasmettere un messaggio al condividere, dallo stabilire un contatto con l'altro al giungere ad una vera e propria negoziazione e collaborazione.
Dietro al termine "Comunicazione" si cela un universo di significati, tuttavia ritengo che quello forse maggiormente esaustivo sia, appunto, comunicare come co-costruzione di un significato comune.

Comunicare quindi significa accordarsi su una prospettiva, proprio come metaforicamente avviene in un'orchestra dove tutto è legato, accordato secondo un ritmo particolare che stabilisce tra i partecipante un reale affiatamento.

Sempre rimanendo nella metafora dell'orchestra, chi è il direttore d'orchestra delle nostre comunicazioni??? Siamo noi!!!
Certamente per essere dei buoni direttori d'orchestra e comunicare efficacemente con gli altri dovremmop esser consapevoli di come il discutere di comunicazione implica il prendenre contemporaneamente in ceonsiderazione come essa avvenga non soltanto attraverso il canale verbale, ossia il cosidetto in senso comune "parlare", ma anche attraverso modalità definite non verbali.


Pensiamo a quanto comunichiamo conun semplice gesto, con un semplice sguardo...a volte più di mille parole.

La comunicanzione non verbale abbraccia, in senso generale, tutto ciò che non è strettamente linguistico; comprende, infatti, tutti gli aspetti di uno scambio comunicativo non concernenti il livello puramente semantico del messaggio, ossia il significato letterale delle parole che compongono il messaggio stesso.
Essa è stata studiato partendo proprio dal pressupposto che per un essere umano sia impossibile non comunicar, infatti oltre al parlare intenzionale che si riferisce alla comunicazione verbale, nella realtà quotidiana si "parla" anche tramite l'utilizzo di altri canali, quali: il nostro corpo, i nostri atteggiamenti e comportamenti,...tale tipologia di comunicazione è universalmente comprensibile in quanto i meccanismi dai quali deriva sono analoghi in tutte le culture, sebbene ogni cultura tenda poi a rielaborare in modalità differente i messaggi non verbali.

All'interno della comunicazione non verbale troviamo quindi un complesso ed alquanto eterogeo insieme di processi comunicativi, che vanno dalla qualità paralinguistica della voce, alla mimica facciale, ai gesti, allo sgurado, alla prossemica, fino a giungere alla postura, all'abbigliamento ed al trucco.

Noi siamo ciò che comunicahiamo ed è per noi impossibile non comunicare!

venerdì 12 marzo 2010

Quando l'amore diventa ossessione: la sindrome del molestatore assillante.


"Sembrava un amore vero, ma poi per incanto si è trasformato nel più grande degli incubi"

E' così che viene descritto lo stalking dalle vittime.

Ma di cosa si tratta?

Oggi tutti sembrano essere vittime di stalking, ma il fenomeno non è da sottovalutare e da banalizzare.

E' definito come "Sindrome del molestatore assillante"; ma chi è il molestatore e come si diventa tale, chi è la vittima e come lo si diventa?

Quando una relazione finisce ci si sente frustrati, infelici ed il terreno sembra mancarci sotto i piedi e così si cerca in ogni modo di recuperare quello che si è perduto. La maggior parte delle persone è cos' in grado, anche se con rammarico, di porre fine al tutto rispettando la scelta dell'altro che ormai sostiene di non amarci più.

Ci sono però persone che non accettano la fine e che iniziano a perseguitare l'altro, continuando ad inviare lettere, biglietti, sms e oggetti non richiesti, continuando con minacce, scritte e verbali, aggredendo fisicamente la vittima e nei casi più estremi tutto termina con l'uccisione della stessa.
Nel 1999 Mullen et all prendendo in considerazione sia la motivazione dominante che spinge il persecutore alla caccia, sia il contesto in cui egli la esercita, distingue 5 tipologie di Stalker:
  1. Respinto
  2. Bisognoso di affetto
  3. Corteggiatore incompetente
  4. Risentito
  5. Predatore

Anche se lo stalking è un crimine trasversale le donne sono le vittime predominanti e gli uomini i persecutori principali. L'ottanta per cento delle vittime di stalking identificate dalla ricerca sono donne ed il venti per cento sono uomini.

Nel 2001 Galeazzi et all hanno individuato tre caratteristiche fondamentali affinchè si possa parlare di stalking:

  • L'attore della molestia, lo stalker, agisce nei confronti di una persona che è designata come vittima in virtù di un investimento ideoaffettivo, basato su una situazione relazionale reale oppure parzialmente o totalmente immaginata, in base alla personalità di partenza ed al contatto con la realtà.
  • Lo stalking si manifesta attraverso una serie di comportamenti basati sulla comunicazione o sul contatto, ma in ogni caso connotati dalla ripetizione, insistenza ed intrusività.
  • Pressione psicologica legata alla coazione comportamentale dello stalker ed al terrorismo psicologico effettuato, pongono la vittima, stalking victim, in uno stato di allerta, di emergenza e di stress psicologico. Questi vissuti possono essere legati sia alla percezione dei comportamenti persecutori come sgradti, intrusivi e fastidiosi, che alla preoccupazione e all'angoscia derivanti dalla paura per la propria incolumità.

La vittima di stalking rischia di conservare a lungo delle vere e proprie ferite.

Le conseguenze dello stalking infatti, per chi lo subisce, sono spesso diverse e si trascinano per molto tempo rischiando di cronicizzarsi. In base al tipo di atti subiti ed alle emozioni sperimentate possono determinarsi stati d'ansia e problemi di insonnia o incubi, ma anche flaschback e veri e propri quadri di Disturbo Post Traumatico da Stress.

In molte ricerche, inoltre, si è riscontrato che esiste una "categoria sociale a rischio stalking" rappresentata da tutti gli appartenenti alle cosidette "professioni di aiuto", vale a dire i medici, gli psicologi, ed ogni sorta di Helper.


lunedì 1 marzo 2010

Consigli utili per le neo-mamme!

SOLO UNA MAMMA SERENA PUO' DARE SERENITA' AL PROPRIO PICCOLO!


Confrontarsi con altre mamme che vivono una situazione simile alla tua.


Lasciare che parenti ed amici ti aiutino un pò nella gestione della casa e del neonato.


Se ci si sente sole e stanche, prendersi del tempo per se stesse e magari lasciare un pò il bambino ad una persona di fiducia.


Cercare di riposarsi.


Dedicare, quel poco tempo libero, a se stesse, al proprio relax ed al proprio benessere.


L'altra faccia della maternità


Diventare mamma: tutti la descrivono come un'esperienza meravigliosa. La donna, tuttavia, si trova a dover affrontare un'esperienza del tutto sconosciuta.
Dopo il momento del parto la "Neo-mamma", che ha già affrontato una grandissima sfida, ovvero quella del "riconoscimento del neonato come del proprio bambino", si trova dinnanzia ad innumerevoli prove. Molto spesso queste prove sono rese più difficili da alcune credenze che la stessa "neo-mamma" si è creata durante tutti i nove mesi di gravidanza; come ad esempio "sarò una mamma perfetta", "saprò da subito capire il bambino", "Fare la mamma è sempre un'esperienza meravigliosa e gratificante", "Fare la mamma significa mettere sempre prima le esigenze del bambino alle proprie". Escludendo la possibilità di negare tali credenze, bisogna tuttavia sottolineare che la maternità possiede luci ed ombre.
Infatti dopo il parto può accadere che la Giovane Mamma non si senta poi così felice ed entusiasta, non si veda come adeguata nei confronti del suo piccolo bimbo, pianga senza motivo o abbia scoppi di irritabilità. Tutti questi comportamenti rientrano in quel fenomeno, che più comunemente è definito "Depressione Post - Partum".
Tale tipologia di depressione, definita Post Partum, ovvero dopo il parto, è una particolare forma di disturbo nervoso che colpisce molte donne a partire dal terzo o quarto giorno seguente il parto. Tra i sintomi maggiormente frequenti ad essa riconducibili si riscontrano.
  • tristezza e pianto, con frequenti cambi di umore e perdita di interesse per la maggior parte delle attività
  • disinteresse per il bambino e/o paura di fargli male
  • affaticamento e sensazione di esaurimento
  • sentimenti di disperazione
  • insonnia
  • mancanza di appetito

Di fronte a questi sintomi la neo-mamma non deve spaventarsi!

La succitata sindrome, che colpisce più del 10% della popolazione femminile, è dovuta a cause ben precise e può essere affrontata con successo!

Tra le principale cause si ricordano: fattori biologici, come ad esempio i cambiamenti ormonali indotti dalla gravidanza; fattori psicologici e di natura sociale, come il repentino cambiamento di ruolo per la donna, da essere figlia ad "essere madre" di una creatura totalmente indifesa e dipendente da lei, la mancanza di supporto emotivo all'interno della propria famiglia, la presenza di una "coppia genitoriale fragile",...
Ma come superare tale condizione?
Sicuramente utile sarà per la giovane mamma circondarsi di persone care, di amici e di tutto il supporto emotivo all'interno del proprio nucleo familiare. Sarà anche utile cercare di confrontarsi il più possibile con altre giovani mamme ed, in secondo luogo, cercare di ridimensionare le aspettative verso se stesse.
Tuttavia se i sintomi sono presenti per più di due settimane e con un entità "allarmante" si consiglia di rivolgersi ad uno specialista al fine di ottenere una consulenza psicologica ed adeguato trattamento.