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Secondo recenti dati Istat ben 1 italiano su 10 soffre della suddetta sindrome; quindi ben il 10% degli italiani presenta sintomi da stress dovuti al cambiamento del ritmo di vita quotidiana
Attualmente si rileva un nuovo fenomeno: di fronte ad incomprensioni, disagi e conflittualità fra partner, la tentazione è di “fuggire” nella vita virtuale.
Perché tentare di comprendere e di essere compresi, con tutte le difficoltà del caso, nel rapporto di coppia, quando c'è qualcuno, nella chat, con cui possiamo farlo senza difficoltà?
Ciò che nasce come amicizia virtuale, se sopraggiunge all'interno di un disagio di coppia, può diventare amore virtuale.
Con la persona dell'altro sesso conosciuta in chat, si arriva a condividere, spesso, parti di se stessi, non partecipate neanche col partner.
L'intimità amicale diventa sempre più affettiva e si arriva a “sostituire” affettivamente e quindi a tradire il proprio partner.
Quando possiamo parlare di tradimento?
Escludiamo, ovviamente, il tradimento reale che si ha nel momento in cui la conoscenza dell'altro da virtuale diventa reale.
Ritengo che si possa parlare di un tradimento online quando il livello di “condivisione” virtuale coll'altro supera un determinato limite.
Limite fra condivisione amicale e quella di coppia che non è uguale per tutti, ma muta a secondo delle persone e situazioni coinvolte.
Limite che, teoricamente, potremmo porre nel momento in cui il “noi” della coppia virtuale diventa preponderante rispetto alle singole individualità, che per quanto affini fra loro, intime, devono riuscire a mantenere una certa distanza affettiva.
Invece le entità dell'Io, del Tu e del Noi, sempre in bilico nella vita reale fra individualismi esasperati e fusioni totalizzanti, sul virtuale innescano una deriva fusionale, favorita dal gioco delle proiezioni reciproche sull'altro che è tipico delle relazioni online.
Nel momento in cui, nella relazione virtuale, il noi prende il sopravvento, la relazione da confidenziale, empatica, diventa passionale, nel senso che la presenza dell'altro in chat è attesa come s'attende una persona innamorata, quando la mancanza dell'altro, sempre in chat, diventa angoscia abbandonica, ecco che all'orizzonte si è profilato il tradimento.
La dipendenza non è generata solo ed unicamente da sostanza, ma anche da relazioni che l’individuo instaura con il suo ambiente circostante. Essa indica generalmente un legame di sottomissione tra un individuo ed un’altra persona, un gruppo, un oggetto, un comportamento,…
Da un punto di vista psicologico, il soggetto “dipendente” è caratterizzato da una mancanza di autonomia e di capacità di prendere decisioni autonome, spesso ha una visione di sé come bisognoso, fragile, come “vittima”. La dipendenza che tali soggetti instaurano nei confronti di oggetti o persone è strettamente legata al loro bisogno di non sentirsi inadeguati e di sperimentare una immagine di sé positiva.
In molti casi si parla di dipendenza affettiva, ma cosa è?
Nella dipendenza affettiva il soggetto è, come dice il termine stesso, dipendente da una relazione emotivo – affettiva instaurata con un'altra persona. Essa indica un legame di sottomissione che l’individuo stabilisce con l’altro, dove è proprio la “relazione” a divenire l’oggetto della dipendenza stessa.
Da dove nasce la dipendenza affettiva?
L’origine di tale dipendenza è da ricercare nel contesto delle prime relazioni con le figure significative. Anche se può apparire paradossale si instaura una dipendenza perché si ha bisogno di amore! Sin dalla prima infanzia il bambino è dipendente dalle proprie figure di accudimento, sia per i propri bisogni primari di fame, sete, freddo sia per i propri bisogni emotivi. Se il rapporto tra il soggetto in età infantile e l’adulto sarà caratterizzato da accettazione, rispetto e cure responsive ed empatiche il bambino crescerà autonomo, indipendente, sicuro di sé e fiducioso nelle proprie capacità e negli altri; contrariamente si svilupperà insicuro e bisognoso di continue conferme.
Nella dipendenza affettiva, pena la perdita della propria identità, il soggetto persegue costantemente ed in modo ossessivo la rassicurazione, l’attenzione e l’amore.
La relazione con l’altro, con il proprio partner, apparentemente risulta essere una relazione d’amore; tuttavia è descrivibile come una relazione di “bisogno”. Il soggetto affettivamente dipendente vive una relazione intrisa di angoscia, paura ed insicurezza in quanto è troppo concentrato a “chiedere” amore, cure ed attenzioni. Ci si trova di fronte ad una relazionale fusionale.
Chi è succube di tale tipologia di dipendenza spesso è una persona insicura, con scarsa autostima, paura dell’abbandono ed ansia da separazione. Il soggetto instaura una relazione proprio per colmare le proprie paure ed i propri bisogni.
Il soggetto con dipendenza affettiva è caratterizzato da:
ü Paura di perdere l’amore
ü Paura della solitudine, della soluti dine e dell’abbandono
ü Paura di mostrrsi per quello che si è e di non essere accettato in quanto tale
ü Senso di inferiorità nei confronti del partenr, il quale è visto come “eroe” e “salvatore”
ü Senso di colpa
ü Gelosia
ü Risentimento e possessività
In maniera maggiormente specifica tra i pensieri ed i vissuti emotivi ricorrenti possiamo riscontrare:
ü tendenza a sottovalutare la fatica connessa a ciò che serve ad aiutare la persona amata al punto da raggiungere, senza percepirlo in tempo, livelli elevati di stress psicofisico;
ü terrore dell’abbandono che porta a fare cose anche precedentemente impensabili pur di evitare la fine della relazione;
ü tendenza ad assumersi abitualmente la responsabilità e le colpe della vita di coppia;
ü autostima estremamente bassa e una conseguente convinzione profonda di non meritare la felicità;
ü tendenza a nutrirsi di fantasie legate a come potrebbe essere il proprio rapporto di coppia se il partner cambiasse, piuttosto che a basarsi su pensieri legati al rapporto attuale e reale;
ü propensione a provare attrazione verso persone con problemi e contemporaneo disinteresse e apatia verso persone gentili, equilibrate, degne di fiducia, che invece suscitano noia.
Giddens studiando la dipendenza affettiva individuò alcune caratteristiche specifiche di questa dipendenza, vale a dire:
ü l’ebbrezza : il soggetto affettivamente dipendente prova una sensazione di ebbrezza dalla relazione con il partner, in maniera maggiormente specifica sperimenta euforia in funzione delle reazioni manifestate dal partner rispetto ai propri comportamenti.
ü la dose: il soggetto affettivamente cerca “dosi” sempre maggiori di presenza e di tempo da spendere insieme al partner, la sua mancanza lo getta in uno stato di prostrazione. Il soggetto esiste solo quando c’è l’altro e non basta il suo pensiero a rassicurarlo, ha bisogno di manifestazioni continue e tangibili. L’altro rappresenta un’evasione, una fonte di gratificazione unica, tanto che si arriva anche a trascurare le normali attività quotidiane, come per esempio le attività lavorative e relazionali.
ü la perdita dell’Io: nella dipendenza affettiva esiste un alto rischio di perdita del Sé, della propria capacità critica e quindi, anche della critica dell’altro, vissuto come irrinunciabile nutrimento. Il senso di perdita di identità è seguito da sentimenti di vergogna e di rimorso. In alcuni momenti infatti, si percepisce qualcosa di distorto nella relazione con l’altro, che la dipendenza è nociva e che se ne vorrebbe fare a meno, ma la constatazione di essere intrappolati in un modello dipendente fa sentire indegni e quindi spinge ancora di più verso l’abbraccio dell’altro. La dipendenza è percepita come un’esperienza speciale e lo è nel senso che niente altro è altrettanto soddisfacente.
Il soggetto con dipendenza affettiva ama in maniera ossessiva e parassitaria, chiedendo al partner una assoluta attenzione e devozione. L’amore dipendente è caratterizzato dalla stagnazione, si ripiega su stesso e si chiude a tutte le influenze ed esperienze esterne.
La letteratura scientifica ha rilevato che la dipendenza affettiva è presente soprattutto nella popolazione femminile.
Dott.ssa Claudia Distefano
Il settore delle dipendenze patologiche appare oggi molto più variegato ed eterogeneo, includendo al suo interno non solo ed unicamente specifiche sostanze, ma anche fenomeno quali l’internet addiction, la dipendenza affettiva, lo shopping compulsivo.
All’interno di tale vasto panorama, risulta essenziale innanzitutto soffermarsi sul concetto di dipendenza patologica; essa necessita di un punto di vista multidimensionale che tenga contemporaneamente conto sia degli aspetti neurobiologici sia dei fattori comportamentali, sociale, psicologici e culturali.
Approcciandosi al fenomeno delle dipendenze appare evidente come esso non sia circoscritto solo ed unicamente ai cosi detti “Disturbi correlati a sostanza” siano essi correlati all’uso di sostanza o indotti da sostanze quali anfetamine, oppiacei, cannabis, cocaina,…
Attualmente la ricerca ed il dibattito scientifico si sono concentrati sulle “Nuove Dipendenze”, ovvero: la dipendenza da internet, da cellulare, dal sesso, dal lavoro, dallo shopping compulsivo, dal gioco d’azzardo, la dipendenza affettiva,…
Nei succitati casi non si tratta di uso e/o abuso di sostanza, come solitamente si può riscontrare nelle tossicomanie o tossicofilie, ma di comportamenti e relazioni problematiche, inadeguate e disfunzionali riferite ad oggetti, attività, gestione del proprio tempo e rapporto con la realtà interna, per ciò che concerne la percezione di sé, ed esterna, per ciò che riguarda le relazioni interpersonali, sociali e di coppia.
La dipendenza patologica si configura come una forma morbosa determinata dall’uso distorto di una sostanza, di un oggetto o di un comportamento, un’esperienza caratterizzata da un sentimento di incoercibilità e dal bisogno coatto di essere ripetuta con modalità compulsive.
Essa è una condizione invasiva in cui si possono riscontrare fenomeni quali il carving, l’assuefazione, l’astinenza in relazione ad una abitudine incontrollabile ed irrefrenabile che il soggetto non può allontanare da sé.
Queste nuove forme di dipendenza possono essere inglobate all’interno delle dipendenze comportamentali. Esse, attraverso la ricerca continua ed irrefrenabile di determinati comportamenti (quali internet, il sesso, lo shopping, o altro…) interferiscono nella vita quotidiano del soggetto a molteplici livelli.
A livello economico possono condurre ad una riduzione del patrimonio dovuta alle spese condotte dal soggetto finalizzate alla ricerca del comportamento desiderato; nei casi più gravi inoltre la dipendenza può andare ad interferire con l’efficacia ed il rendimento lavorativo e può essere quindi causa di licenziamento lavorativo. Psicologicamente è necessario sottolineare come oltre a ripercussioni cognitive quali problemi di attenzione e concentrazione, distorsioni della realtà e della capacità di pensiero, la dipendenza può causare problemi di natura emotiva, quali: depressione, senso di colpa, riduzione e perdita dell’autostima con conseguente isolamento sociale. L’isolamento sociale, difatti, rappresenta una conseguenza problematica molto importante: il soggetto tende difatti ad isolarsi dalla amici, parenti, colleghe non essendo più capace di relazionarsi con loro.
Il campo delle nuove dipendenze patologiche richiede una nuova attenzione e sensibilità in quanto risulta essere un fenomeno connotato dalla trasversalità e dalla grande pericolosità. Possono, difatti, esserne vittime preadolescenti, giovani, adulti, anziani, uomini e donne di diversa estrazione.
Dott.ssa Claudia Distefano
La psicologia del traffico è quel particolare settore della psicologia applicata che focalizza la sua attenzione sui partecipanti del sistema traffico, attraversando innumerevoli ambiti di studio da quello della percezione sino a quello della personalità.
Ma chi è “lo psicologo del traffico” e cosa fa???
Sicuramente nel panorama italiano è una figura emergente, la quale, purtroppo, ancora non ho ottenuto un giusto riscontro.
L’indagine Istat ha rilevato in Italia, per l’anno 2008 ben 218.963 incidenti di cui 4364 mortali. Sono dati allarmanti che portano ad una riflessione. Cosa determina ed influenza la sicurezza alla guida?
Il tema di “sicurezza alla guida” nel panorama italiano non è ancora sufficientemente affrontato in un’ottica psicologica, ma il più delle volte in chiave normativa e quindi con un ottica punitiva. Diviene necessario approcciarsi a tale tematica in un ottica più prettamente psicologica al fine di comprendere quali siano i fattori che influenzino il comportamento del guidatore e cosa lo spinga a mettere in atto condotte pericolose.
Sarebbe utile approfondire come fattori, quali: la stanchezza, l’uso di alcool e/o sostanza psicotrope, ma anche caratteristiche di personalità ed influenze, competenze e fattori sociali, possano interferire con la guida sicura. Cosa porta il guidatore a perdere il controllo fisicamente, cognitivamente ed emotivamente?
La psicologia del traffico, rispondendo primariamente a tale quesito, si pone come finalità quella di occuparsi della sicurezza stradale contrastando il fenomeno delle morti sulla strada e cercando di prevenire gli incidenti attraverso una “educazione stradale” che non sia solo ed unicamente didattica ed a carattere punitivo, ma al contrario cercando di sensibilizzare sul valore delle sicurezza e su come in esso possano intervenire numerosi variabili, prima tra tutte il cosi detto “Sensation Seeking”.
Il Sensation Seeking è ricondubile alla ricerca del rischio. Assumere il rischio, ovvero l’azione del Risk taking, significa indirizzarsi verso situazioni dall’esito incerto. Nel contesto particolare della guida e della psicologia viaria il concetto di Assumere il Rischio di collega strettamente alla “scelta di intraprendere volontariamente comportamenti potenzialmente dannosi e pericolosi”.
Il Sensation Seeking fu individuato da Zuckerman come un tratto di personalità definito dalla ricerca di sensazioni ed esperienze intense e dalla tendenza ad assumersi rischi per il puro piacere di queste esperienze. Esso conta al suo interno di quattro dimensioni specifiche: ricerca del brivido e dell’avventura, ricerca dell’esperienza, disinibizione e suscettibilità alla noia.
Numerose ricerche in ambito psicosociale hanno ben documentato come sia possibile riscontrare una relazione tra un alto tratto di Sensation Seeking e la guida pericolosa, l’alta impulsività e l’uso di droghe ed alcool prima di mettersi al volante.
Emerge quindi come alcuni fattori di personalità sembrino essere predittivi di future condotte a rischio quando si è alla guida. Ciò che porta il soggetto a violare le norme del codice della strada, all’alta velocità o all’assunzione di bevande alcoliche prima di mettersi alla guida è riconducibile ad un insieme di elementi quali: forte impulsività, aggressività, instabilità emotiva, ricerca di sensazioni forti ed inadeguata percezione del rischio.
Ed è proprio in tale ottica che diviene necessario attuare una prevenzione psicologica al fine di promuovere una guida sicura.
Dott.ssa Claudia Distefano
Fedeltà è tradimento rappresentano due facce della stessa medaglia che chiamiamo come “patto d’amore”.
La fedeltà rappresenta il punto cardinale di tale patto. Essa può essere intesa come fedeltà passiva, ovvero una rigidità morale, una fedeltà al corpo dell’altro; ed una fedeltà attiva, corrispondente alla fedeltà alla persona, ovvero la decisione di con tradire l’altro per una scelta di valore e non per “paura di una ipotetica punizione”.
Il tradimento invece rappresenta la rottura del patto d’amore. E’ un azione che muta necessariamente l’andamento ed i rapporti precedentemente esistenti tra le persone, delude la fiducia e le aspettative infrangendo quindi il legame.
Potremmo dire che il tradimento infrange la quotidianità in quanto porta poi la coppia a separare ciò che è avvenuto prima e ciò che è avvenuto dopo tale evento.
Psicologicamente nel tradimento siamo di fronte all’infrangersi della fiducia primaria, che porta a distinguere nettamente l’Altro da sé.
Nello specifico, esistono tre fasi nel tradimento:
- quella in cui viene fantasticato
- quella in cui viene agito
- quella in cui viene scoperto.
In seguito alla sua scoperta, in genere, i sentimenti, si presentano nel seguente ordine:
- la rabbia che, a volte, può determinare la rottura definitiva della relazione;
- il desiderio di vendetta, che, tuttavia, non permette di elaborare quanto accaduto;
- la perdita dell’autostima, accompagnata al sentirsi svalutati, sminuiti, al senso di perdita della fiducia nei confronti dell’altro e della parte di sé stessi che gli era stata affidata.
Contro il tradimento solitamente il tradito mette in atto delle difese. Tra queste: la negazione, il tradito definisce il partner fedifrago come una persona negativa, cattiva e inaffidabile cancellando ogni possibile visione positiva di lui; il cinismo, ovvero il tradito mostra diffidenza e disprezzo verso tutti e tutto abolendo cos’ ogni sentimento positivo; il potere paranoico, ovvero il tradito cerca di proteggersi da futuri pericoli controllando il traditore con la diffidenza e con il ricatto, chiedendo prove di devozione e di lealtà, andando incontro ad una distruzione della relazione di amore che diventerà invece solo ed esclusivamente una relazione di potere dove chi è stato tradito non smette di aggredire e chi ha tradito non smette di rassicurare.
Tutto ciò caratterizza l’esperienza del tradimento con aspetti destabilizzanti, di vulnerabilità, dipendenza ed auto svalutazione per chi lo subisce.
Dott.ssa Claudia Distefano
Il benessere mentale, emotivo e fisico è strettamente correlato alla nostra autostima!
Ma che cosa è l’autostima?
E come possiamo fare per “stare bene con noi stessi?”
Per rispondere alla prima domanda “Cosa è l’autostima” è necessario fare un piccolo passo indietro e comprendere in che scenario essa si colloca. Tale scenario è quello del “concetto di sé”, ovvero in parole semplici il “mondo” o l’Immagine interna” che ciascuno ha di se stesso. Tale immagine si sviluppa sin a partire dalla primissima infanzia anche in relazione al modo in cui gli altri si rapportano a noi; in maniera maggiormente specifica in relazione alle reazioni degli altri ai nostri comportamenti.
L’autostima viene a determinarsi in base a varie informazioni oggettive e soggettive ricondubili a tre tipologie di sé:
L’autostima quindi rappresenta una valutazione, una “stima di sé”, circa le informazioni contenuto nel concetto di sé. Essa è la reazione emotiva che sperimentiamo quando osserviamo e valutiamo aspetti di noi stessi, collegati alle nostre credenze personali inerenti le abilità e capacità, i nostri rapporti sociali,…
Tale opinione che abbiamo di noi stessi, che sviluppiamo sin dall’infanzia, tuttavia non si può descrivere in maniera unidimensionale. L’autostima, al contrario, è un concetto multidimensionale e non unitario. Essa racchiude in sé una molteplicità di aspetti, per esempio:
Ø quello sociale, inerente il come mi sento quando sono con gli altri, mi sento apprezzato o meno?
Ø Quello scolastico – lavorativo, relativo al quanto mi sento competente ed adeguato nello svolgere determinati compiti
Ø Quello familiare, inerente il come mi percepisco, i miei vissuti all’interno del ccontesto familiare.
Ø Quello corporeo, ovvero il giudizio su come mi percepisco fisicamente
È utile sottolineare che il livello di autostima, sia esso positivo o negativo, influisce la nostra autoefficacia, ovvero la “convinzione nelle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessario a gestire adeguatamente le situazioni che incontreremo in modo da raggiungere i risultati prefissati” (Bandura, 1986) e quindi la fiducia che una persona ripone nella propria capacità di affrontare un compito specifico.
Una buona e sana autostima rappresenta un utile fattore di adattamento socio-emozionale, essa è alla base di un “buon funzionamento mentale” e conseguente di un successo nella vita del soggetto.
Spesso si incorre in problemi riguardanti l’autostima dovuti ad una discrepanza tra i vari sé, una differenza tra il sé percepito ed il sé ideale; quando infatti tale divario è molto alto ci si trova di fronte ad una autostima molto bassa. Tuttavia molto spesso si incorre in un calo della propria autostima a causa di turbamenti emotivi riconducibili ad ansia, rabbia, senso di colpa, sofferenza e solitudine.
Altrettando spesso il calo della nostra autostima è dovuto all aver esperito dei fallimenti in ambito sociale, lavorativo e/o scolastico, familiare,…
Nei precitati esempi si può far ricorso ad alcune strategie per migliorare e tutelare la propria autostima:
Ognuno a modo proprio, passando dalla demonizzazione di questo sentimento che fa "perder la ragione" fino a giungere invece alla sua sublimazione come "essenza della vita".
Sicuramente definire l'Amore non un compito semplice.
Quando parliamo di amore, da un punto di vista psicologico, lo possiamo intendere al pari di "Un sistema integrato o un processo biopsicosociale, vale a dire un'entità dinamica, in movimento e che evolve, che coinvolge l'uomo nella sua globalità biologica, psicologica e sociale e serve a promuovere la vicinanza tra due individui allo scopo di favorire la riproduzione della specie, ma anche il senso di sicurezza, la gioia ed il benessere, attraverso l'attenuazioni delle sensazioni spiacevoli provocate dall'ansia e dallo stress".
Lungi dal voler essere esaustivi e dal voler etichettare un sentimento caratterizzato dalla complessità ma anche e soprattutto dalla soggettività di chi lo vive, la definizione su riportata ci consente di riflettere su alcune questioni.
In primo luogo l'amore è identificabile al pari di un processo biopsicosociale; quindi in esso possiamo trovare un triplice livello: biologico, psicologico e sociale.
In secondo luogo, la finalità riportata nella precedente definizione, evidenzia come esso sia strettamente collegato a vissuti di sicurezza, gioia e benessere.
Dopottutto tra le possibili motivazioni che ci spingono a trovare un/una partner stabile, il nostro oggetto d'amore, sicuramente quella più importante, riconducibile all'Amore, è riscontrabile all'atavico bisogno di sicurezza che accompagna l'essere umano fino alla morte e che trova le sue radici nella vita fetale e nei primi anni di vita proprio nel rapporto con la madre e le figure significative dell'infanzia. Pertantanto, a colui/colei che scegliamo come nostro oggetto d'amore "affidiamo" il compito di riprodurre l'iniziale condizione di benessere sperimentata con le figure significative dell'infanzia.
Anche se lo stalking è un crimine trasversale le donne sono le vittime predominanti e gli uomini i persecutori principali. L'ottanta per cento delle vittime di stalking identificate dalla ricerca sono donne ed il venti per cento sono uomini.
Nel 2001 Galeazzi et all hanno individuato tre caratteristiche fondamentali affinchè si possa parlare di stalking:
La vittima di stalking rischia di conservare a lungo delle vere e proprie ferite.
Le conseguenze dello stalking infatti, per chi lo subisce, sono spesso diverse e si trascinano per molto tempo rischiando di cronicizzarsi. In base al tipo di atti subiti ed alle emozioni sperimentate possono determinarsi stati d'ansia e problemi di insonnia o incubi, ma anche flaschback e veri e propri quadri di Disturbo Post Traumatico da Stress.
In molte ricerche, inoltre, si è riscontrato che esiste una "categoria sociale a rischio stalking" rappresentata da tutti gli appartenenti alle cosidette "professioni di aiuto", vale a dire i medici, gli psicologi, ed ogni sorta di Helper.
Di fronte a questi sintomi la neo-mamma non deve spaventarsi!
La succitata sindrome, che colpisce più del 10% della popolazione femminile, è dovuta a cause ben precise e può essere affrontata con successo!